E poi arriva Michele.
Entra allo sportello d’ascolto con le braccia incrociate davanti al petto, uno sguardo serio. Mentre si accomoda, senza dire una parola, ho l’impressione che ci sia qualcosa di strano.
Subito dice con fermezza e irritazione: “Non volevo venire qua, sono stato obbligato dalla prof di italiano! E non parlerò!”.
Mi coglie alla sprovvista questa sua affermazione. Non so cosa dire. Gli chiedo di chiarirmi quello che sta succedendo. Allora lui prosegue raccontando che la professoressa d’italiano lo ha addirittura minacciato di abbassargli il voto se non si fosse presentato ad un colloquio di sportello d’ascolto. Aggiunge che naturalmente lui non lo avrebbe mai fatto e con lo sguardo accigliato mostra in evidenza le braccia incrociate.
Scoppio a ridere, non mi era mai successa una cosa del genere e lo dico anche a Michele. La sua postura imbronciata mi ricorda molto quella di un bambino a cui è stato imposto un castigo.
Tutta la situazione mi appare strana e comica.
Con ancora mezzo sorriso in faccia, mi scuso con Michele per questa forzatura inaspettata. Parlerò con l’insegnante per evitare che si ripetano queste situazioni. Gli assicuro che mi dispiace molto e che lo sportello d’ascolto non sia da utilizzare in questo modo. Lo rassicuro sul fatto che possa tornare in classe quando vuole, che non sia assolutamente obbligato a restare.
Intanto il viso e la postura di Michele sono cambiati. Non ha più le braccia incrociate e il suo sguardo appare più morbido, meno severo.
Non si muove, a tratti guarda per terra e poi me.
Ora siamo entrambi silenziosi.
Colgo l’occasione per esprimere anche un altro pensiero e cioè che se la professoressa ha voluto imporsi in modo così perentorio, probabilmente è molto preoccupata per lui.
Ha le mani appoggiate sul tavolo di fronte a lui, lo sguardo più disteso, aggiunge: “Beh, già che sono qua, magari mi fermo un po’…“.
Mi racconta di non parlare mai con il padre e la madre. La sorella molto più grande di lui non le è simpatica e spesso litigano. In casa si rifugia nella sua camera e spesso chiude la porta a chiave per non essere disturbato da nessuno. Si collega ad internet per molte ore al giorno, gioca, chatta, guarda video e quando gli chiedo di che tipo, ha un attimo di esitazione, poi risponde: “Di tutti i tipi”.
Michele ha 12 anni, ma racconta di esperienze online molto più grandi di lui: conosce droghe diverse anche se dal racconto non si capisce se ne faccia o meno uso, frequenta siti pornografici e con immagini violente, conosce e guarda video che trattano armi e guerra.
Mentre Michele racconta, il suo sguardo non tradisce alcuna emozione, nemmeno quando mi parla di video aberranti di violenze e altre atrocità.
Gli chiedo cosa provi di fronte a certe immagini e lui risponde: “Niente, io non provo niente”.
Ora ho più chiara la preoccupazione della professoressa di italiano che, probabilmente, ha colto il profondo disagio di Michele.
Credo importante poter lasciargli lo spazio di un dialogo in merito a quelle immagini atroci e difficili, che invadono il suo sguardo e i suoi pensieri. Mi chiedo perché un ragazzino debba fare queste esperienze e lo immagino solo, nella sua stanza, attratto da tutto ciò che sembra sconosciuto, eppure ferito da immagini incomprensibili e violente.
“Michele, sei spesso solo…”. Lui fa spallucce ma il suo sguardo tradisce un’emozione che sale a galla lentamente. Sposta indietro la sedia e guarda a terra. “Devo andare” dice e mentre lui si alza mi alzo anch’io. “Michele sono molto preoccupata per te. Ti propongo un nuovo appuntamento e vorrei chiederti il permesso di incontrare i tuoi genitori.”
Michele si ferma, ma resta di spalle, girato verso la porta d’uscita. “Va bene”, non aggiunge altro ed esce senza guardarmi. Sono certa che si sia commosso, ma non è ancora pronto a mostrarlo.
Ha acconsentito che io veda i suoi genitori, forse ha capito di aver bisogno di aiuto e tornerà ancora a parlare, questo è già tanto.
E quella professoressa che lo ha minacciato di un brutto voto per farlo venire allo sportello d’ascolto… quanto è riuscita a cogliere di lui e che bell’atto di amore ha compiuto.
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