Incontro in corridoio la professoressa di italiano.
È la coordinatrice di classe e con fare molto frettoloso ma determinato, mi ferma.
“Leo è stato sospeso” mi dice “ha insultato una compagna utilizzando espressioni razziste. È inaccettabile!“.
Mi chiede di incontrarlo e di fargli capire che assolutamente questi comportamenti non sono accettati.
Mentre mi avvio verso lo sportello d’ascolto, penso a quanto sia difficile insegnare la tolleranza. Quante volte ciascuno di noi è intollerante verso gli altri, verso i difetti, verso i fastidi, verso gli errori e verso se stesso…
Leo mi sta già aspettando insieme a Sara, la compagna con cui ha litigato e per cui è stato sospeso. Mi colpisce vederli vicini. Guardo il colore della loro pelle, Leo è una sfumatura di nocciola, il padre è di origine araba, la madre ucraina. Sara ha la pelle color cioccolato fondente.
Sfumature di colori difficili da riprodurre sul foglio da disegno, sono un insieme di varie tinte, gradazioni delicate… colori intensi e interessanti.
Sorrido ad entrambi e loro ricambiano il sorriso. Appaiono preoccupati con lo sguardo posizionato tra i piedi, a terra.
Inizio chiedendo a Leo come sta e se vuole raccontarmi che cosa sia successo. Lui non sembra aver chiaro il motivo della sospensione anzi, gli sembra che abbiano esagerato un po’… Chiedo a Sara se la pensa nello stesso modo e lei risponde che, certo Leo l’ha propria offesa, ma anche lei non si aspettava una sospensione. Faccio ripetere esattamente a Leo quale sia stata la frase razzista e noto che alla parola “razzista” Leo mi guarda incerto.
Ripete la frase: “Ho solo detto a Sara, mentre litigavamo, ‘non toccarmi che mi sporchi!’“. Sara conferma.
Chiedo a Leo se sappia il significato della parola ‘razzista’ e lui mi risponde che lo conosce, ma che non capisce perché tutti i professori si siano così tanto arrabbiati e aggiunge: “E’ una cosa che dico spesso ai miei amici quando sono arrabbiato ‘non toccarmi che mi sporchi’“.
Provo a spiegargli che i professori hanno inteso che la sua frase si riferisca allo scuro colore di pelle di Sara.
Lui mi guarda sorpreso e mi ripete che no, non c’entra il suo colore di pelle, infatti lo dice anche a chi è bianco, a chi è giallo, a tutti quelli con cui si arrabbia. Capisco in quel momento che l’interpretazione data da noi adulti è molto diversa da quello che i ragazzi si stanno vivendo. A volte, applicare dei concetti a ciò che appare, ci vieta di comprendere davvero cosa accade di fronte a noi.
Il colloquio prosegue chiarendo i motivi delle loro difficoltà, delle incomprensioni e cercando insieme i modi per starsi accanto senza darsi troppo fastidio.
Propongo ad entrambi di fare una richiesta specifica all’altro, che sia di aiuto alle loro difficoltà di relazione. Ci pensano un momento, poi Sara si schiarisce la voce e con un tono fermo e guardando me, dice: “Vorrei che Leo stesse un po’ distante da me. Spesso mi viene addosso, mi urta e non lo sopporto!”.
Leo la guarda, le è seduto a fianco, poi guarda me, arrossisce e guarda a terra.
Chiedo a Leo se abbia pensato alla sua richiesta, ma dice solo “no” e chiede di poter tornare in classe. La sua difficoltà e il suo imbarazzo sono evidenti. Gli propongo di vederci in un altro momento e ci salutiamo.
Sara resta un attimo nella stanza, ha uno sguardo interrogativo, non comprende il comportamento di Leo e l’imbarazzo ha creato ora una insicurezza nella sua voce.
Attendo con lei che qualche chiarezza arrivi, ma forse non è ancora il momento. Ci salutiamo con un sorriso.
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