Romeo è uno studente di terza superiore. Alle spalle ha un percorso scolastico segnato da esperienze relazionali frustranti e umilianti, con figure educative vissute in modo traumatizzante.
La certificazione di disturbo dell’attenzione arriva solo al termine del primo anno di scuola media, tardi. In sei anni di scuola Romeo subisce continue richieste inadeguate rispetto alle sue capacità di controllo dell’attenzione, ripetuti richiami con modalità umilianti e paragoni mortificanti, pressioni e sollecitazioni che gli provocavano frustrazioni e sfiducia nelle sue capacità. E come spesso accade, per difesa, Romeo costruisce una corazza fatta di sorrisi beffardi, risposte provocatorie, rabbia, apatia, distacco.
Gli ultimi due anni di DAD durante la pandemia, hanno spento il suo già delicato contatto con la scuola. La solitudine davanti allo schermo gli ha amplificato la percezione di isolamento. Adesso, in terza superiore, rifiuta la scuola e allo stesso tempo comprende che è importante per il suo futuro. Un conflitto interiore che spesso è causa di malessere.
Allo sportello d’ascolto arriva esprimendo un bisogno essenziale, vitale, di immaginarsi “produttivo”, una parola che usa sovente.
Racconta delle discussioni che avvengono a scuola. Inciampa incerto nelle relazioni con gli insegnanti che si è abituato a vivere come nemici. Si lamenta del non sentirsi capito, ascoltato nelle sue difficoltà che sono vissute come scuse.
Di continuo affronta pensieri auto sabotanti, negativi e svilenti su di sé e sulla paura di non riuscire.
Romeo rappresenta bene tutti quegli studenti che portano addosso i segni di un destino scolastico burrascoso, definiti da sempre come svogliati, non partecipativi e da cui ci si aspetta, in fondo, solo che realizzino una profezia fallimentare.
Resto colpita dalla sua capacità di elaborare numerose e profonde riflessioni sul mondo, la vita, l’esistenza. Mi racconta che, per la prima volta studiando per una interrogazione, si è accorto che gli piace davvero sapere e conoscere. Ma poi, di fronte al compito da consegnare, all’interrogazione da svolgere, si blocca e si ritrae.
E’ seduto davanti a me, la schiena un po’ ricurva, appoggiata allo schienale. Le braccia incrociate sopra l’addome. Sembra in attesa di qualcosa, ma con un’aria di chi non accetta consigli. Ha una voce intensa, dalle tonalità profonde. Lo sguardo è diretto e delicato. Ciglia lunghe, occhi verde scuro, viso stretto, appuntito, corpo longilineo, magrissimo. Tutto in lui è spigoloso, chiuso, urticante, a conferma delle distanze che vuole mantenere. Eppure lo sguardo tradisce la ricerca di contatto.
Gli chiedo cosa accada dentro di lui di fronte ad un compito, una verifica. “Non lo voglio fare”, risponde immediatamente. E’ fermo, risoluto, parla senza gesti, non muove un muscolo. Sembra barricato in una fortezza.
Proseguo proponendogli di immaginare, solo immaginare, cosa accadrebbe se invece provasse a fare quel compito o una interrogazione, quale sarebbe il rischio. Gli spiego che ci serve capire quali immaginari si muovano in lui, quali emozioni, forse qualcosa lo blocca.
Il suo sguardo si sposta a terra e poi verso la finestra. Il corpo resta fermo con le braccia incrociate davanti a sé. Sta in silenzio per un po’, come a darsi il tempo di immaginare ogni cosa. Poi, con voce calma e lenta, dice: “Potrei fallire, avrebbero ragione loro”. Il tono è rassegnato e anche lo sguardo che si sposta su di me, mi attraversa e va chissà dove.
Capisco che per Romeo, studiare e ricevere un voto negativo, sarebbe la conferma di tutte le critiche ricevute negli anni: un concentrato di mortificazione terribile, difficile da reggere, che andrebbe a confermare i suoi pensieri auto sabotanti. E poi “tentare” lo sposterebbe fuori dalla zona protetta, a rischio anche di avere successo, a rischio di credere in se stesso, una esperienza che gli evoca paura.
Lo guardo, ora sembra indifeso. Le spalle si sono chiuse un po’ di più e lo sguardo vitreo è posato lontano. Mi fa tenerezza, capisco il peso che porta. Glielo dico, confermo che ho capito e aggiungo che probabilmente le numerose esperienze negative vissute, gli hanno creato un blocco importante. Mi fermo, non aggiungo altro. Cerco di raggiungerlo lì dov’è, nella sua paura di fallire e gli resto accanto, accettandolo.
Romeo mi osserva, non mi oltrepassa più, c’è silenzio. Dopo qualche istante cambia posizione, si siede con la schiena più diritta e il viso, più rilassato, sembra accennare un sorriso. Le braccia si sono aperte e restano appoggiate alle gambe. Sembra più presente, quasi soddisfatto.
Gli ho confermato di averlo capito e questo lo ha rassicurato, si è sentito finalmente riconosciuto, considerato e validato nel suo vissuto.
Abituato a sentirsi negato e rifiutato, è affamato di comprensione, approvazione, accoglienza.
Il suo sorriso sembra un germoglio appena spuntato.
Ricambio il sorriso.
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