Sono allo sportello d’ascolto di una delle numerose scuole con cui collaboro da diversi anni.
Entra Santiago (un nome inventato per proteggere la sua privacy), frequenta una prima classe di scuola secondaria (scuola media).
Il viso è serio e il suo sguardo sembra altrove.
Mentre lo accolgo e mi presento, mi guarda negli occhi ma è come se tra noi restasse una sorta di barriera invisibile.
C’è silenzio, attendo pochi secondi, quando mi guarda gli sorrido e gli chiedo se abbia voglia di raccontarmi qualcosa.
Abbassa la testa e mi dice tutto d’un fiato che i suoi genitori si sono separati da una settimana. Continua a guardarsi le mani e l’espressione del viso non cambia. Attendo un attimo e dico: “E’ dura”, cercando di dare voce a quel silenzio.
Finalmente mi guarda davvero, quella distanza iniziale non c’è più e dice che non se lo aspettava, non riesce a parlarne con nessuno e suo padre lo vede poco, molto poco.
Seguendo il corso del suo racconto aggiungo le emozioni che lui omette e dico: “Ti manca tuo padre…”.
Santiago mi guarda serio, quasi infastidito da ciò che ho detto. I suoi occhi sono carichi di tristezza che sembra voler tenere con sé, non vuole lasciar andare niente e nessuno, ma è un peso che diventa eccessivo.
Proseguo e gli chiedo: “Quanto ti manca tuo padre?”. Lui continua a guardarmi ma non risponde, fermo nella sua difficoltà. C’è silenzio.
So che ha bisogno di provare a mettere delle parole per accettare quella tristezza e renderla più sopportabile. È venuto allo sportello d’ascolto proprio per questo, allora aggiungo: “Da 1 a 10 quanto ti manca tuo padre?”.
Risponde immediatamente: “…20…”.
Inizia a piangere piano, con la testa abbassata mentre guarda per terra, cerca di asciugare le lacrime con le mani quasi a volerle nascondere o a rimandarle indietro. Anch’io mi commuovo un po’. Sento il dolore che sta provando e gli dico: “Mi dispiace Santiago”. Resto con lui in quella tristezza. Trascorrono alcuni minuti. Lentamente il pianto diminuisce. Santiago mi guarda, vede che anch’io mi sono commossa. Gli sorrido e gli porgo un fazzoletto e lui, finalmente, sorride.
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