Introduzione
Negli ultimi quindici anni, ho trascorso nove mesi all’anno ad occuparmi di Sportelli d’Ascolto nelle scuole, sia in istituti comprensivi che in scuole superiori, incontrando in colloquio genitori, insegnanti e alunni delle scuole secondarie, entrando nelle classi di scuole dell’infanzia e primarie per svolgere osservazioni da condividere poi con gli insegnanti e intervenendo nelle classi “più difficili”, per lavorare sulle relazioni, sul gruppo e sulla comunicazione.
Gli argomenti portati in sportello dai ragazzi e dai genitori sono principalmente:
- Conflittualità tra pari, in famiglia e nelle classi
- Separazioni, lutti e mancanze
- Insicurezze, bassa autostima e aspetti depressivi
- Problemi di esclusione e isolamento
- Difficoltà di relazione, di dialogo e di ascolto
- Ricongiungimenti familiare traumatici
- Violenze in famiglia
- Autolesionismo, disturbi del comportamento alimentare, difficoltà di gestione della rabbia
Gli argomenti affrontati con gli insegnanti sono principalmente:
- Le difficoltà relazionali in classe
- La gestione di situazioni difficili
- L’incontro con gli specialisti che seguono gli alunni
- La comunicazione ai genitori e il loro accompagnamento verso l’accettazione delle difficoltà del figlio
- Strategie e modalità relazionali specifiche per ciascun alunno nel riconoscimento dei suoi bisogni
Questo servizio offre la possibilità di uno spazio e di un ascolto utile nei diversi momenti di difficoltà, consente la rilevazione di situazioni di disagio poco visibili, promuove prospettive diverse di considerazione, valutazione e relazione attraverso racconti, scambi e riflessioni.
Spesso lo spazio e il tempo del dialogo servono a gestire emozioni contrastanti, pensieri difficili da verbalizzare e relazioni intense.
Ogni anno scolastico nelle scuole secondarie con una popolazione media di circa 500 studenti, gli appuntamenti richiesti dai ragazzi sono stati più di 100. Un numero grande per i Dirigenti che all’inizio del servizio, scettici, arricciavano il naso; un numero inaspettato per tutti gli insegnanti che, esterrefatti, strabuzzavano gli occhi e restavano di stucco; un numero evidente per gli operatori scolastici che durante l’anno mi aiutano nel chiamare i ragazzi in classe e nel tutelare la loro privacy.
La richiesta di ascolto è forte, è intensa, è importante. Di fronte a questi risultati, le ore di Sportello d’Ascolto aumentano e così anche le possibilità d’intervento, d’incontro e di scambio.
L’ascolto di preadolescenti e adolescenti, per me è la parte più intensa e anche la più difficile da sviluppare. Quando non trovo le parole giuste o i silenzi corretti, che siano davvero d’aiuto alla loro sensibilità, mi rammarico e spero in altre possibilità, in altri momenti e in altri dialoghi più attenti e intuitivi. Quando dalle domande vedo aprirsi porte nascoste, custodi di segreti e pensieri mai espressi, allora si sente entrare nella stanza una luce che illumina quel buoi e, anche se spesso un sentimento di tristezza sopraggiunge, quella luce riscalda, rilassa e muove un sentimento di accettazione e di apertura.
I genitori arrivano allo Sportello d’Ascolto carichi di preoccupazione in merito alle difficoltà dei figli, ai comportamenti sanzionati o ai possibili ruoli di “vittima”, di “bullo”, di “pigro”, di “maleducato” o di “isolato” che si sentono ripetere da più parti. L’ascolto è ristoratore. Sentirsi ascoltati gli consente di riascoltare i loro pensieri, di confrontarsi tra loro, di decidere un percorso e una direzione e di provare ad ascoltare meglio il figlio, la figlia. Spesso questi momenti di crisi e di passaggio, hanno lo scopo di ricordare a ciascuno, proprio il valore dell’ascolto.
Gli insegnanti più sensibili accedono allo Sportello perché si accorgono che qualcosa in classe non va: uno sguardo più assente, isolamento, risposte aggressive, rabbia. E nonostante i loro tentativi di avvicinare lo studente, non succede nulla. Spesso anche dopo aver parlato con i familiari sembra che nulla cambi, eppure la preoccupazione resta. Allora arrivano allo Sportello d’Ascolto portando il peso della loro sensibilità: “Sa, assomiglia a mio figlio…non vorrei stesse attraversando un momento difficile tutto da solo. So che la famiglia è in difficoltà…”. L’ascolto prima e lo scambio poi per attivare una rete, coinvolgere amici, parlare con sincerità, esprimere il proprio sentimento e far arrivare all’altro un messaggio di accoglienza e di interesse. E poi finalmente il ragazzo o la ragazza arriva allo Sportello d’Ascolto.
Durante le osservazioni nelle classi della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, mi siedo in un angolo e cerco di restare in disparte. Osservo e prendo appunti. I bambini mi guardano all’inizio, ma poi nella maggior parte dei casi, quasi si scordano che io ci sia. Guardo attenta ciò che succede: una bambina piange, un bambino spinge e parla con difficoltà, la maestra chiama Oliver ma lui sembra non sentire, un altro bambino resta isolato dagli altri e gioca spesso da solo. Le nazionalità d’origine sono molteplici, lo si nota dalla varietà di colori della pelle e dalle diversità di pronuncia dei nomi, ma anche dai tratti somatici così diversi fra loro: zigomi alti, occhi a mandorla, statura bassa e robusta, alta e affusolata. Le maestre hanno poche informazioni sulla famiglia d’origine dei bambini, le essenziali, faticano a comprendere alcuni comportamenti e mi dicono: “Alcuni sembra non riconoscano le regole, altri disturbano in continuazione e non ascoltano…”. Allora parliamo proprio dell’ascolto che è anche osservazione senza giudizio.
Per capire perché Oliver non ascolta, dobbiamo provare ad osservare cosa accade attorno a lui e quali risposte mette in atto con il suo atteggiamento. Di cosa ha bisogno Oliver? Non ascolta “mai”? Mentre parliamo, le maestre iniziano a riportare alcuni avvenimenti che forniscono altri esempi: “In realtà se mi avvicino, mi abbasso, lo guardo negli occhi e parlo lentamente, lui ascolta e poi esegue il compito richiesto”. Lo scambio con le insegnanti mi fa sorgere il dubbio sulla tipologia di linguaggio che parla a casa Oliver. Sono in tanti in casa oppure è figlio unico? “Oh caspita! Ci stai dicendo che ha bisogno che gli parliamo più da vicino? Può avere un problema di udito? Oppure non conosce bene le parole della lingua italiana?”… Il giudizio scompare e al suo posto si fanno largo ipotesi, possibili modalità di approccio, nuove riflessioni.
E poi entro nelle classi “difficili” e faccio il lavoro che più mi piace, che sento mio e mi diverte: gli interventi con il metodo del circle time. Ho passato anni a trovare definizioni differenti per non ammettere che questi interventi, seppur faticosi, mi divertono, come a occultare le prove di una leggerezza che a volte mi imbarazza.
Lavorare con gli sportelli d’ascolto nelle scuole è complesso. Le richieste sono diverse, i colloqui brevi e numerosi, i bisogni molteplici. Serve entrare in empatia con gli stati d’animo dell’altro, che arriva in quel momento, senza una conoscenza precedente, sentirne il dolore, ascoltarne le ferite, accettare le storie di vite difficili e poi lasciare andare quelle esperienze per far posto ad altri sentimenti.
Alcune di queste storie mi sono rimaste più impresse, hanno toccato sentimenti profondi e risuonato con più forza dentro la mia sensibilità, illuminando le mie ferite e i miei dolori. Allora ho deciso di raccontarle affinché possano essere luce e forza per altre persone e possano scuotere sentimenti profondi, pensieri inespressi e ascolto prezioso.
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